Reskilling o Riqualificazione professionale: cosa significa
Secondo il vocabolario riqualificazione professionale – o reskilling in inglese – significa letteralmente conseguire una nuova o migliore qualifica professionale.
Storicamente questo termine è sempre stato rivolto alle attività di supporto ai lavoratori in difficoltà o in outplacement. Si parla infatti tipicamente di servizi o corsi di riqualificazione professionale come quelle attività pensate per dare una nuova e migliore qualifica professionale a un lavoratore.
A me piace però spiegare il concetto di riqualificazione professionale in modo più semplice e creativo: reskilling o riqualificazione lavorativa è la scienza e l’arte di ridare nuova vita alle tue competenze ed esperienze lavorative per puntare a realizzare una vita professionale più soddisfacente, un lavoro che vale insomma. Un po’ come passare dal sentirsi un vecchio oggetto da buttare che si trasforma diventando un affascinante articolo di design.
Reskilling: perché oggi la riqualificazione professionale è così importante
I numeri del Disorientamento Professionale sono pazzeschi: solo uno scarso 17% ama il proprio lavoro. Tutti gli altri si trascinano in una routine più o meno stressante che consuma i loro giorni senza nessun senso di realizzazione.
Cambiare lavoro però, per come siamo stati cresciuti, è sentito dai più quasi come un grave peccato mortale.
Siamo cresciuti con il mito del posto fisso, del lavoro come obbligo necessario e parte integrante della vita. Il massimo a cui siamo convinti di poter aspirare è di trovare un lavoro.
E anche chi riesce a superare questo antico retaggio, di fronte all’idea di cambiare lavoro si ritrova molto spesso preda della paura di cambiare lavoro.
Che poi sia un lavoro che non ci piace, che non ha nessun senso per noi, nessuna attinenza con i nostri valori o le nostre aspirazioni più alte, questo non ha nessuna importanza.
O meglio, ci è stato insegnato che non ha nessuna importanza. Ma non c’è nulla di più sbagliato.Questo insegnamento deriva da un errore di partenza che affonda le sue radici nelle circostanze in cui l’attuale modo di lavorare è nato: nei grandi capannoni delle filande di fine ottocento, agli albori della prima rivoluzione industriale, il lavoratore era considerato semplicemente come una estensione delle macchine, un componente umano mescolato ai tanti componenti meccanici.
Questo insegnamento deriva da un errore di partenza che affonda le sue radici nelle circostanze in cui l’attuale modo di lavorare è nato: nei grandi capannoni delle filande di fine ottocento, agli albori della prima rivoluzione industriale, il lavoratore era considerato semplicemente come una estensione delle macchine, un componente umano mescolato ai tanti componenti meccanici.
L’importante, a quei tempi, era garantire la produttività e il guadagno dei capitani d’industria, non certo dare spazio alla libera espressione del singolo.
Anzi, la libera espressione in quelle circostanze era qualcosa di estremamente negativo e pericoloso: poteva significare la rottura di qualcuno di quei costosissimi ingranaggi o la perdita di produttività con le ovvie conseguenze negative in termini di mancati guadagni.
Perciò al lavoratore era chiesta una sola cosa: testa bassa e lavorare obbedendo il più rigorosamente possibili agli ordini impartiti.
Sono passati più di due secoli da allora, ma per la maggior parte di noi è ancora quella l’impostazione mentale che abbiamo nella nostra testa rispetto all’argomento “Lavoro”.
Lavoro è qualcosa che va fatto per “obbedire” o accontentare il “padrone” (che poi sia un cliente poco importa) e in cui l’unica possibilità di dialogo è data dallo scontro sindacale. Il lavoro è quella cosa che sta fuori dalla vita privata, quella cosa che devi cercare di lasciare fuori dalla porta di casa quando rientri – stravolto di stanchezza la sera – per poter avere la vaga sensazione di avere anche una vita, oltre al lavoro.
E finchè il mondo andava alla velocità del telefono con i fili e della TV a raggi catodici tutto questo poteva ancora, tutto sommato, andare bene.
Non esistevano le mail, i whatsapp, i facebook, i messenger e tutti gli altri gadget elettronici che, invece, oggi si sono mangiati tutta la nostra intimità.
Ma tu, te lo ricordi ancora che una volta il telefono era solo con la cornetta ed era solo DENTRO casa?
Cioè quando tu eri fuori e qualcuno ti telefonava… pazienza!
Oggi? Impensabile.
Abbiamo sviluppato la sindrome da ubiquità. C’è chi risponde al cellulare persino quando è seduto sul WC.
E’ impossibile oggi pensare di rientrare a casa, chiudere la porta e dimenticarsi del lavoro. Se anche tu ci provassi ci sarebbero almeno dieci diavoletti tentatori che ti riporterebbero istantaneamente alla realtà: il capo che manda una mail con la lista di cose da fare per domani, il whatsapp del tuo collega disperato per il litigio che ha avuto in ufficio oggi, l’sms del capo reparto che ti avvisa che l’impianto si è bloccato, la chiamata che non puoi rifiutare di quel cliente che hai cercato per tutto il giorno invano…
La lista potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma sono certa che mi hai capita bene: oggi il lavoro, per quanto tu cerchi di tenerlo lontano dalla tua vita privata, è una parte integrante del tuo tempo, di giorno e di notte. Puoi provare a buttarlo fuori dalla porta quante volte vuoi, lui farà comunque come i gatti e rientrerà dalla finestra.
Ora, se come me sei allergico ai gatti, capisci bene che hai un grosso problema: sei costretto a vivere una vita infernale da qui a per sempre – visto che la pensione è ormai soloun altro ricordo del passato quasi quanto il telefono a cornetta.
Come avere un Piano di Riqualificazione Professionale
Finchè il lavoro che fai produce in te l’effetto che producono in me i gatti, o ti liberi del gatto oppure… cambi lavoro.
Considerato che liberarsi del “gatto”/lavoro è impossibile, a meno che tu non stia pianificando di trasferirti nell’Himalaya eliminando rigorosamente ogni forma di tecnologia dal tuo eremo solitario lassù, l’unica possibilità reale è cambiare lavoro.
Aspetta, non ti sto dicendo che dovresti presentarti domattina al lavoro e dire con sdegno “mi avete rotto, non ci sto più, vi saluto”.
Sarebbe una scelta decisamente imprudente oltre che improduttiva.
Esistono in realtà moltissimi altri modi per cambiare lavoro senza cambiare lavoro, cioè senza buttare via tutta l’esperienza, gli studi e le fatiche che sicuramente hai fatto fino ad oggi per essere dove sei e fare quello che fai.
Te lo dico con assoluta certezza perché io sono stata una di quelle persone che è riuscita in questo intento. Anzi, ci sono riuscita così bene che ho cominciato anche ad insegnarlo ad altri che, a loro volta, hanno imparato con grandissima soddisfazione, questa sconosciuta ma potente arte del “cambiare lavoro senza cambiare lavoro”.
Come si fa?
Innanzitutto devi sganciarti una volta per tutte dall’equazione “ho un titolo = posso fare solo questo lavoro”.
Al giorno d’oggi il numero di professioni non codificate, quelle cioè per cui NON esiste in realtà alcun titolo di studio di nessun ordine e grado, sono almeno quattro volte tanto quelle codificate.
Questo significa che, se ti limiti a pensare nel modo in cui sei stato formato, non riuscirai mai a vedere tutte quelle alternative che, già adesso e senza cambiare nulla in modo sostanziale nella tua situazione lavorativa, esisterebbero.
Quindi la primissima cosa da fare per creare il tuo piano di reskilling o riqualificazione professionale efficace è fare un attento censimento di quello che sei, lavorativamente e personalmente parlando.
Sembra semplice in teoria, ma per esperienza ti posso dire che ogni volta che seguo qualcuno individualmente, nasce un immenso stupore nel rendersi conto di quante delle tue competenze si sottovaluta, si dimentica o non si vede quale nuova forma potergli dare.
Leggi anche: Come orientarsi nel mondo del lavoro?
Ti faccio un esempio: ho lavorato per diversi anni nel settore della Salute e Sicurezza sul lavoro.
Ero una consulente, come ne esistono tanti in giro. Una di quelle per cui ormai sono stati creati dei corsi di laurea e dei master di specializzazione. Una professione “conosciuta” insomma.
Peccato però che non facesse per me.
Se fossi rimasta a ragionare come mi avevano insegnato a scuola (cosa che peraltro ho fatto ahimè per anni, perdendo una quantità immensa di tempo a cercare di far quadrare il cerchio inutilmente…) avrei avuto come sole opzioni quelle di:
- Continuare e sopportare
- Buttare via tutto e ricominciare da capo
Invece, con il percorso di cui racconto nel mio libro e che tutt’ora insegno alle persone che vogliono finalmente conquistare una condizione professionale realizzante e appagante oltre le loro più rosee aspettative, ho trovato il modo di trasformare i miei anni di consulente in azienda nel settore Salute e Sicurezza sul Lavoro in una forma diversa, con un ruolo professionale “sconosciuto” e – proprio per questo – molto richiesto.
La conseguenza è che, senza buttare via tutti i miei anni di studio ed esperienza, ho potuto conquistare una situazione lavorativa molto più soddisfacente, remunerativa e divertente di quanto avessi mai potuto pensare o sperare. Non solo, le energie e il tempo che in questo modo si sono liberate, mi hanno permesso di formarmi ulteriormente, aggiungere nuove diverse competenze che ho – ancora una volta – rilanciato per Riqualificarmi Lavorativamente a livelli sempre migliori.
Questa, in pratica, è la Riqualificazione Lavorativa che propongo e insegno.
Come vedi, non si tratta di “orientamento professionale”, né di qualche strategia fantasiosa per presentare il proprio curriculum nella speranza di trovare un lavoro nuovo o diverso.
Certamente, se quello a cui punti è un lavoro dipendente, saper scrivere bene un Curriculum è importante. Ma non è certo lì che dovresti rivolgere i tuoi sforzi se davvero vuoi aspirare ad una vita lavorativa migliore, più integrata con il resto della tua vita e del tuo tempo.
In altre parole, come la mia allergia ai gatti può smettere di annoiarmi con una piccola pastiglia di antistaminico, anche il tuo lavoro attuale può smettere di disturbarti, ma devi sapere come fare per risolvere il problema senza far fuori il gatto!
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