Ci sono lavori che scompariranno entro vent’anni: qualche tempo fa sul quotidiano La Stampa si scriveva
“Il prestigioso Financial Times, bibbia dell’economia globale, scrive che entro dieci o vent’anni cinque settori economici saranno schiantati dalla tecnologia: spariranno, o quasi, le agenzie di viaggio (e fin qui la profezia è facile) ma anche i produttori di componenti industriali (un comparto essenziale dell’economia italiana), le officine auto, i venditori di polizze Rc e (addirittura) i consulenti finanziari. Un presidio di operatori umani resterà in ciascuno di questi settori economici ma ridotto all’osso. E la cosa notevole è che a tramontare non saranno solo attività manuali ma anche professioni altamente qualificate nel terziario.“
Ed erano ancora lontani i tempi del Covid e della rivoluzione creata dalla pandemia sui mercati.
Uno studio di maggio 2020 dal Becker Friedman Institute ha previsto che il 42% dei lavori che spariranno per la pandemia sarà permanente.
Tassisti e autisti, selezionatore di posta, corrieri, impiegati, piloti, geometri, bibliotecari, casellanti, cassieri, interpreti e traduttori ma anche programmatori di computer, assistenti di volo, boscaioli, persino i consulenti finanziari attaccati dal fintech e dai robo-advisor, piattaforme automatizzate che utilizzano algoritmi sofisticati e informazioni in tempo reale per offrire consigli di investimento su misura.
I Lavori che scompariranno per colpa di stampanti 3D e la rivoluzione INDUSTRIA 4.0
Il prestigioso Financial Times, bibbia dell’economia globale, scrive che entro dieci o vent’anni cinque settori economici saranno schiantati dalla tecnologia: spariranno, o quasi, le agenzie di viaggio (e fin qui la profezia è facile) ma anche i produttori di componenti industriali (un comparto essenziale dell’economia italiana), le officine auto, i venditori di polizze Rc e (addirittura) i consulenti finanziari.
“Devastante sarà l’impatto delle stampanti 3D” dice il report: “i produttori di componenti industriali rischiano di perdere il 60% del mercato entro dieci anni, perché le grandi aziende della meccanica potranno stampare quasi tutto in casa. Una brutta botta, ad esempio, per chi fabbrica componenti per auto in Italia (che spesso vengono esportati). Si salveranno – per un po’ – solo i produttori più sofisticati. E ancora non basta. Sempre nel comparto auto, il proliferare delle vetture elettriche farà crollare del 90% la richiesta di riparazioni in garage, perché la manutenzione dei motori elettrici è più semplice.”
Il rapporto The Future of the Jobs del World Economic Forum (WEF) prevede che entro il 2022 il 42% del lavoro sarà gestito dalle macchine e il 58% dagli uomini, mentre diverse attività, tra cui l’elaborazione dei dati e la trasmissione di informazioni, saranno svolte per il 62% dalle macchine.
Entro il 2022 la quota occupazionale di chi pratica lavori ripetitivi passerà dal 31% al 21%, mentre aumenteranno le professioni emergenti che passeranno dal 16% al 27%.
Peccato però che le professioni emergenti siano in grande maggioranza relative ad ambito tecnologico: ogni anno la richiesta di professioni ICT in Italia cresce mediamente del 26%, con picchi del 90% per le nuove professioni legate alla Trasformazione Digitale come Business Analyst e analisti dei Big Data. Cresce di oltre il 50% la richiesta delle nuove professioni digitali: specialisti in Cloud, Cyber Security, IoT, Service Development, Service Strategy, Robotics, Cognitive & Artificial Intelligence.
Poiché la domanda di queste professionalità è superiore all’offerta, molte posizioni restano scoperte. Secondo una stima dell’Unione Europea, in Europa ci sono 700.000 posti di lavoro che richiedono competenze digitali scoperti per carenza di personale qualificato.
Per lavorare nell’Industria 4.0 occorrono quindi specializzazione e competenze digitali, e poiché l’informazione digitale è l’elemento che crea valore nella nuova rivoluzione industriale, tutte le professioni avranno in comune la capacità di raccogliere, analizzare e processare dati: tutti dovranno essere in grado di utilizzare strumenti digitali, inserirsi in processi automatizzati e comunicare con i nuovi strumenti multimediali.
I lavori che NON spariranno
Secondo László Andor, il commissario europeo all’Occupazione:
La crescita di posti di lavoro si concentrerà in tre aree chiave: l’economia verde, i servizi sanitari, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Secondo le nostre previsioni, il potenziale è enorme. Ma sarà fondamentale investire nell’istruzione e nella formazione.
Per sfruttare tutte le possibilità, tuttavia, ci sarà bisogno di una vera rivoluzione
Innanzitutto nell’istruzione. «Dobbiamo recuperare un ritardo storico» avverte Andrea Cammelli, presidente di AlmaLaurea. «Nella popolazione tra 25 e 34 anni gli Stati Uniti hanno 42 laureati su 100 e l’Italia appena 21. Nell’Unione Europea il 44 per cento dei manager ha la laurea o specializzazione superiore; in Italia solo il 15, mentre il 37 per cento ha la scuola dell’obbligo». Eppure, l’obiezione più comune è che in Italia ci siano troppi giovani laureati a spasso. Valutazione parzialmente sbagliata. «C’è un problema di scarsa trasparenza fra domanda e offerta che non s’incontrano» puntualizza Ferruccio Dardanello, presidente dell’Unioncamere. «Poi c’è una carenza di formazione, perché spesso il lavoro non è adatto al lavoratore, o viceversa. Infine c’è un fattore culturale: anni fa nessuno voleva fare il cuoco, era consierato un lavoro di “serie B”; oggi tutti vorrebbero fare lo chef».
Ma non è tutto. «Ai lavoratori fra 20-30 anni» prevede Riccardo Pietrabissa, docente di bioingegneria al Politecnico di Milano «serviranno tre “commodity” di lavoro: parlare molto bene almeno l’inglese, conoscere le nuove tecnologie e saper leggere un bilancio». Oltre a una buona preparazione generale perché, sottolinea Pietrabissa,il mercato oggi cambia di continuo e non conta quello che sai fare, ma l’attitudine a fare un lavoro e a impararlo facilmente. Il lavoratore del 2030 dovrà capire e risolvere problemi più complessi di oggi.
La soluzione esiste ma…
Ma non passa per nessuna delle soluzioni che conosci o che la società e le istituzioni continuano a proporti: non ti salverà l’inviare nemmeno mille Curriculum al giorno – ammesso che tu ci riesca – nè tanto meno rispondere a tutti gli annunci di lavoro che puoi trovare nel web.
Non ti salverà l’accontentarti di un “lavoro qualsiasi pur di portare a casa qualcosa”, anzi questo è il modo esatto con cui ti scaverai la fossa.
La soluzione esiste ma non te la dicono. Non per cattiveria, intendiamoci. Non sono amante delle tesi complottistiche che esistono in giro sul fatto che alcuni pochi poteri forti ci vogliono sterminare come formiche per tenere la ricchezza tutta per sè.
Magari è anche vero, ma non mi fa per niente gioco pensarlo, mi deprime soltanto.
Meglio muovere il culo, alzare le chiappe dalla sedia e cercare risposte. Così ho sempre ragionato io ed è un modo di ragionare che mi ha portato decisamente ottimi risultati.
Detto in confidenza non è stato per niente facile, i momenti difficili sono stati davvero difficili e un paio di volte ho rischiato di restare K.O. definitivamente.
Ricordo ancora con un brivido lungo la schiena quel giorno in cui, appena fuori dello studio di un noto psichiatra guardavo interdetta la sua diagnosi: “Importante esaurimento nervoso” con relative prescrizioni di psicofarmaci.
D’altronde gli studiosi l’hanno misurato più volte: la perdita del lavoro è una delle cause di depressione più frequenti oggi, persino più di altri drammi come separazioni o divorzi.
Perciò, quando ti dico che ho toccato il fondo intendo dire che ci ho proprio sbattuto la testa contro, per niente in modo figurato, anzi!
Per una serie di circostanze che non smetterò mai di ringraziare, quegli psicofarmaci non li ho mai presi e da quel burrone sono risalita incredibilmente a sola forza di arrampicarmi con le unghie lungo la scarpata, sanguinando e perdendo quota mille volte ma non mollando mai.
Non so da dove ho trovato quella forza, so solo che non mi volevo accontentare all’idea di delegare il mio potere – per quanto poco mi sembrava di averne in quel momento – a qualunque altra cosa che non fosse la mia libera volontà. Non certo a degli psicofarmaci.
Tutto questo per dire che so esattamente come ci si sente di fronte alle notizie che i giornali e i media ci rimbalzano davanti in continuazione sulla crisi e sulla tragica fine che stiamo per fare tutti.
So esattamente come ci si sente a non avere un guadagno nè un lavoro e per di più con un debito in banca di diverse decine di migliaia di euro (cosa pressochè certa succede a chiunque, come me allora, non ha la benchè minima idea di cosa significa davvero fare impresa, quando tutto quello che ha fatto nella sua vita fino a quel momento è stato fare il “bravo bambino” come ci hanno insegnato per anni a scuola!).
Ma proprio perchè so tutto questo puoi credermi quando ti dico che una soluzione in realtà esiste, solo che è qualcosa di estremamente strutturato, preciso e scientifico. Niente che nemmeno lontanamente somigli al “manda in giro Curriculum e aspetta con pazienza”.
Mi piacerebbe poterti spiegare in poche parole cosa devi fare ma quando ci ho provato, il meglio che sono riuscita a fare è arrivare a 61.485 parole, esattamente quelle cioè che puoi trovare nelle 232 pagine del mio libro “Un lavoro che vale“.
Siccome il suo costo è decisamente inferiore ad una serata in pizzeria – ma le sue informazioni sono più preziose di qualunque laurea in ingegneria, parola di ingegnere – se davvero vuoi capire cosa devi fare per uscire dai guai ti rimando al libro direttamente.
Il mercato del lavoro, come molte cose oggi è drasticamente cambiato, di questo ce ne siamo accorti tutti. Quello che ancora troppo pochi sanno è che soccombere, rassegnarsi perché c’è la crisi, già tanto averlo un lavoro, NON è l’unica soluzione, anzi. Oggi più che mai potresti avere una vita professionale straordinaria, ma DEVI SAPERE COME FARE ad affrontare il mercato del lavoro 4.0.