Perché il lavoro non basta più

perché il lavoro non basta più

Conosci C. C. Baxter?

C.C. Baxter è un tipico, qualunque, americano medio, impiegato di una multinazionale assicurativa.

Nel finale del film “L’appartamento”, una delle vette più alte del cinema multiforme di Billy Wilder, Baxter decide di non sottostare più alle angherie dei propri colleghi nonché del capo Sheldrake, licenziandosi in tronco nonostante abbia appena ricevuto una prestigiosa promozione a dirigente.

Con fare che non ammette replica, prima di uscire per sempre da quello che sarebbe stato il suo nuovo e lussuoso ufficio, dice di rifiutare perché ha “deciso di diventare mensch” (in tedesco essere umano)

Baxter, interpretato da un magistrale Jack Lemmon, altro non è che un protagonista succube del cinismo e del bieco individualismo del mondo del lavoro degli anni ’60 negli Stati Uniti, la patria del capitalismo.

A dirla tutta, la scelta di Baxter ha a che fare anche e soprattutto con l’amore che prova per la bella Fran Kubelik (Shirley MacLaine), ricordandoci – a distanza di oltre sessant’anni – che un essere umano è tale solo se può vivere una vita che abbia un senso oltre lo stipendio.

Prima del grande momento infatti, la vita di C.C. Baxter è costantemente sottomessa al mondo del lavoro. Avvelena la sua sfera privata fino alle radici più estreme.

A pagare le conseguenze di quello che a tutti gli effetti è un abuso perpetrato nel corso delle settimane, è la salute quotidiana e il benessere psico-fisico di Baxter, che alla fine trova la forza per dire BASTA.

Basta. In un termine così perentorio si può riassumere un concetto molto più profondo, complesso e articolato.

In un termine così imperativo, si può racchiudere il pensiero di ciò che la stampa e i mezzi di comunicazione in generale hanno ribattezzato ormai da tempo come Great Resignation (in italiano Grandi Dimissioni), adottando il nome coniato da Anthony Klotz, professore di management alla Mays Business School della Texas A&M University.

Come riporta Il Sole 24 Ore, basandosi su dati dell’US Bureau of Labor Statistics, nel mese di luglio 2021 sono state ben 4 milioni, le persone che hanno deciso di lasciare spontaneamente il proprio lavoro.

Un tema non soltanto a stelle e strisce.

In Italia nei mesi a cavallo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, le dimissioni dei lavoratori dipendenti sono aumentate del 31,6%, come emerge da un progetto di ricerca Monitor Fase 3, realizzato in collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia.

Come C.C. Baxter nel film di Wilder anche i protagonisti della Great Resignation sembravano aver deciso di salvaguardare la qualità della propria salute, anche a costo di pagarne le conseguenze in ambito economico.

Dalla padella alla brace…

Tutto questo già scuoteva gli animi di lavoratori e analisti mentre cercavano di venire a capo dei cocci di due anni di pandemia.

Neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo che, come il cilindro dal cappello, è uscita la carta Jolly.

Un conflitto in territorio europeo che nessuno mai avrebbe creduto più possibile.

Un altro elemento disruptive,improvviso e sconcertante, forse ancora più della pandemia.

Perché tuto sommato, che un virus scappi da un pipistrello, impazzisca e riduca in schiavitù tutta l’umanità intera è più accettabile del fatto che ci sia chi prende carri armati e bombe nel 2022 e cominci ad ammazzare gente, aprendo un conflitto pericoloso e inquietante.

A questo punto le persone sono sempre più stanche, sempre più stressate, sempre più confuse.

Ma soprattutto si prova sempre più incertezza e paura. Sentimenti questi che rischiano di bloccare ogni – sano – desiderio di condurre una quotidianità libera il più possibile da stress, sfruttamenti e tossicità.

Con sempre meno certezze, sempre più stress, sempre più paura per il futuro, c’è davvero da chiedersi dove si possano trovare le risorse interiori per affrontare la realtà. Ed è qui che si inserisce il nostro impegno quotidiano con Azione IKIGAI, per aiutare le persone a formarsi e allenarsi per individuare le opportunità che, sempre più nascoste, ma continuano ad esserci nel mercato del lavoro

Sembra difficile da credere, ma anche in questo momento, ci sono opportunità nel mondo del lavoro, a patto di sapere dove guardare. Quello che le persone conoscono del mercato tipicamente è una piccola parte, è solo la punta dell’iceberg.

Crediamo che il mercato del lavoro sia costituito soltanto da grandi aziende, dai ruoli professionali classici e tradizionali che tutti conosciamo e da alcuni brand più noti e famosi. In realtà esiste un 80%, la fetta più grossa di mercato, costituita da piccole aziende, settori di nicchia, brand meno noti e soprattutto nuove professioni.

Qualche consiglio per affrontare meglio la situazione attuale?

1.         Datti la possibilità di credere che esistano panorami lavorativi diversi, nonostante la crisi e la difficoltà globale del momento: le più grandi opportunità, da sempre si nascondono dentro i periodi di maggiore crisi.

2.         Circondati di persone che credono nella tua voglia di migliorare la tua situazione professionale, anziché abbatterti sotto il peso dei “non è possibile oggi, ma chi te lo fa fare, datti una calmata”

3.         Dedica del tempo a migliorare la tua employability: molto spesso non serve fare chissà quali corsi di formazione ulteriore, ma semplicemente imparare a comunicare meglio e più efficacemente i tuoi risultati già raggiunti

4.         Ricorda che oggi ciò che sei è solo una piccola parte dell’equazione: l’altra parte è fatta del come appari nel mondo, web in primis. Il come ti muovi sui social, il come ti comunichi nel tuo network di persone, le persone che formano il tuo network sono altrettanto (e più) importanti di come scrivi il tuo curriculum

5.         Passa più tempo a fare domande: usa i social per intessere relazioni e parlare con altri lavoratori. Il mondo del lavoro oggi è così immensamente vario che non hai idea di quante professioni esistono di cui tu non conosci nulla ma che potrebbero costituire una valvola di sfogo preziosa verso cui indirizzare i tuoi sogni e aspirazioni!

2 commenti su “Perché il lavoro non basta più”

  1. Io ringrazio l’autrice di questi post, e del video che ho avuto la fortuna di vedere su youtube, perché dà una visione realistica di cosa vuol dire cambiare lavoro e allo stesso tempo non ti fa perdere tutte le speranze. Mi ero fissata troppo sui pennsieri orribili che mi venivano lavorando senza tenere in considerazione il lato positivo e sempre valido, del servizio che offro a colleghi e superiori. Certo le mie mansioni sono spesso le ultime della catena di ingranaggio, e quindi le più monotone e poco interessanti, eppure ora che mi ci ha fatto pensare il mio lavoro riscuote successi insperati proprio perché nessuno vuole fare queste cose…

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Erica Zuanon

Erica Zuanon

Ex frustrato Ingegnere-ma-volevo-fare-altro, oggi realizzata Content Strategist, Career Coach & Innovation Trainer, guido Aziende e Lavoratori ad affrontare con successo e autorealizzazione le sfide del cambiamento lavorativo nel mondo 4.0 attraverso il metodo proprietario CREEA®. Autrice di Missione Lavoro e Un Lavoro che Vale, ho ideato il progetto Azione IKIGAI per sostenere chi è alla ricerca del proprio perché professionale ma non sa come fare. 

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