Lavoro noioso: perché fa male e come liberartene

lavoro noioso ripetitivo

Hai un lavoro noioso e ripetitivo, ma ti senti bloccato e non riesci a a sbloccarti per cambiare lavoro? Ecco il VERO motivo e come superarlo.

Faccio un lavoro noioso. Questo è il problema. Per carità mi pagano anche bene, puntualmente, mi versano i contributi regolari, malattia pagata, potevo prendere dei permessi, godevo di tredicesima e, addirittura, quattordicesima. Il dramma però è che ogni mattina sono gli stessi orari, lo stesso ufficio, le stesse facce, la stessa mansione, lo stesso, insoddisfatto, ritorno a casa. Monotono, troppo monotono. Sono annoiato a morte dal mio lavoro ma ho paura di cambiare. In certi momenti mi sento la forza di un leone e mi viene il coraggio di dire basta mollo tutto e cambio vita ma poi penso a tutto quello che ho da pagare fra bollette, mutuo, macchina, tutto il resto e allora ci ripenso.

Però andare avanti così è un’agonia e comincio a pensare di essere io il problema. Vedo la maggior parte dei miei colleghi che sembra non abbiano nessun problema a passare ore a fare un lavoro in ufficio noioso e ripetitivo come il nostro. Cosa sbaglio?

Vorrei avere più coraggio ma poi si sentono di quelle storie in giro! Oggi poi, con la crisi e tutto il resto… Se dovessi cambiare e poi mi trovo a cadere dalla padella alla brace? Magari sono proprio io l’errore. Magari è proprio vero quello che mi dicono i miei amici, che sono solo un eterno insoddisfatto e dovrei smettere di lamentarmi tanto, che oggi già avercelo un lavoro!

Lavoro ripetitivo, stress per il cervello

Se questi pensieri ti suonano familiari lascia che ti tolga un peso dalle spalle. No, non è colpa tua. Non è questione di cattivo carattere, di impazienza o ingratitudine.

Lo rivela una ricerca coordinata dall’università norvegese di Bergen e pubblicata sulle pagine della rivista Pnas: il lavoro ripetitivo crea nel cervello una sorta di stand by. I ricercatori hanno dimostrato che chi è occupato in attività monotone mostra un’attività cerebrale anormale 30 secondi prima di commettere uno sbaglio.

In altre parole NON è la mancanza di concentrazione a farci incappare negli errori in ufficio o nei cantieri, ma una sorta di ‘pausa’ che il nostro cervello sembra attivare nei momenti di maggior noia.

Boreout – Noia al lavoro: fa più male dello stress

Tutti sanno che il troppo stress sul posto di lavoro può danneggiare al punto di farti ammalare. Tant’è che nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto ufficialmente come malattia la sindrome del burn out.  

Molto meno conosciuto è invece il fenomeno inverso, quello dell’eccessiva noia, non per questo meno dannoso. Se nel caso di troppo stress si parla di Burnout, nel caso di troppa noia c’è un termine altrettanto chiaro: Boreout, “fuori” per noia.

«Il termine bore out è nato nel 2007, quando due consulenti aziendali svizzeri, Peter Werder e Philippe Rothlin, pubblicarono un volume dal titolo Diagnose Boreout», spiega Lucio Sarno, ordinario di psicologia clinica e psicoterapia alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Da allora, la sindrome viene vista come una variante speculare del burn out. Se nel caso di quest’ultimo, è l’eccesso di investimento emotivo, e non solo, a generare una sorta di blackout psicofisico che può avere ricadute negative sul piano professionale e personale (fisico e mentale), nel bore out è il contrario. Cioè il venir meno di qualsiasi possibilità di coinvolgimento emotivo e motivazionale».

Del tema si parla ancora poco, spiega Nada Endrissat, docente alla Scuola universitaria professionale di Berna, che ha realizzato diversi studi sul tema.

La ricerca dimostra che una delle principali cause della stanchezza è la noia. La noia stanca di più dello sforzo fisico. In uno degli esperimenti in merito, il dottor Barmack assegnò a degli studenti compiti non interessanti.

Il risultato? Si stancarono, erano irascibili e si lamentarono di mal di testa, dolori agli occhi e anche mal di stomaco. La scienza medica mostra che quando una persona è annoiata, la pressione arteriosa e il consumo di ossigeno decresce. Lo stesso psicologo Thorndike nei primi del Novecento scrisse: ‘La noia è la vera causa della minore produttività’.

Il Paese in cui ci si annoia di più al lavoro? L’Italia, pari merito con gli Emirati Arabi. Almeno secondo l’ultimo studio di ‘Emolument’, società inglese che si occupa di consulenza.

I sintomi del Boreout – noia al lavoro

L’esaurimento dettato dalla noia, ha caratteristiche chiare. Chi ne soffre non è un pigro che si crogiola nel far nulla, ma una persona che soffre a causa della situazione di poco coinvolgimento professionale. .

«Diversi studiosi se ne sono occupati nel corso degli anni, come Wolfgang Merkel, psicoterapeuta tedesco, che ne ha esaminati gli effetti, dall’inerzia al calo di energia, fino all’insonnia», racconta Luciana D’Ambrosio Marri, sociologa del lavoro, esperta di sviluppo delle persone e benessere in ambito lavorativo.

«Tutti abbiamo le nostre giornate no, in cui ci trasciniamo al lavoro senza voglia. Ciò può anche accadere per un periodo di tempo più o meno breve. Qui parliamo però di sintomi ricorrenti e prolungati. Il bore out è una noia cronica, esasperata, che deriva dalla perdita di senso nell’utilizzo del proprio tempo lavorativo. Il proprio ruolo in azienda viene percepito come vuoto, inutile, insignificante».

I primi segnali da tenere d’occhio? Apatia, fatica nel concentrarsi, distrazioni e divagazioni continue. Portare a termine un incarico non procura alcuna gratificazione. Si adocchia in continuazione quello che fanno i vicini di scrivania. Le giornate sembrano infinite e alla sera ci si sente scarichi, nervosi, incompresi. Ci si immagina un lavoro diverso, ma non si fa nulla per cercarlo. Non sono rari i problemi intestinali, i mal di testa, i disturbi del sonno.

«Uno studio del 2018 riporta che il 43% delle persone si annoia al lavoro», racconta la sociologa. «Sono soprattutto donne (il 48%, contro il 39% degli uomini). Forse perché il genere femminile è naturalmente più bisognoso di sentirsi utile e valorizzato. I millennials, poi, sembrano avere un rischio doppio e ciò non stupisce. Parliamo di una generazione che lavora per obiettivi e in autonomia. Se mancano questi due elementi, il bore out è dietro l’angolo». 

Le ripercussioni di un lavoro troppo noioso

Le ripercussioni di un lavoro troppo noioso vanno dalla frustrazione, crollo dell’autostima, fino allo spauracchio della depressione.

Come se non fosse già abbastanza, uno studio londinese pubblicato sull’International Journal of Epidemiology condotto su 7mila dipendenti pubblici monitorati per 25 anni ha mostrato che i lavoratori che lamentano alti livelli di noia hanno un rischio doppio di decessi per malattie cardiache o ictus rispetto a coloro che trovano divertente la vita.

Il detto annoiarsi a morte sembra insomma avere persino un riscontro scientifico, ipotizzano i ricercatori. Molto probabilmente perché le persone annoiate hanno maggiori probabilità di ricorrere ad abitudini malsane come bere e fumare, il che può ridurre la loro aspettativa di vita.

Lavoro noioso: chi rischia di più

A differenza di quello che si potrebbe pensare, il problema può colpire soprattutto gli individui iper qualificati e i laureati. Anche i creativi, ingabbiati in attività meccaniche, che non lasciano spazio all’iniziativa personale, sono vittime frequenti.

Insomma, non è solo un problema di chi si trova alla catena di montaggio il come sopportare un lavoro noioso. Tanto più sei una persona creativa o qualificata ma sottoimpiegata, tanto più il rischio di cadere in depressione da noia al lavoro è alta.

Sempre a detta infatti del prof. Sarno, ordinario di psicologia clinica e psicoterapia alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: «È indubbio che maggiori sono le possibilità di svolgere un’attività ben remunerata e corrispondente ai propri interessi, minori sono le minacce del bore out. Se invece, pur di lavorare, bisogna accontentarsi di svolgere attività sottopagate e non corrispondenti ai propri titoli scolastico-formativi, maggiore è il rischio di un malessere».

Disturbi da noia al lavoro: chi rischia meno

Guarda caso, chi rischia meno è chi ritiene di fare una professione che ha un SENSO. Insomma, un lavoro che vale la vita e il tempo che gli dedichi, come dico sempre.

Spiega infatti Luciana D’Ambrosio Marri, sociologa del lavoro, esperta di sviluppo delle persone e benessere in ambito lavorativo: «Sono invece meno a rischio di bore out coloro che operano nell’ambito della cura dell’altro, dal medico all’insegnante. Perché trovano nella relazione continua con l’assistito il senso del proprio operato, da cui traggono soddisfazione».

Altra categoria ad alto rischio è quella degli introversi, ovvero chi non riesce ad emergere. Continua la Marri: «Il bore out, è tipico anche dei caratteri molto introversi, propensi a isolarsi, a non relazionarsi con l’entourage lavorativo, perché creano una distanza, sebbene talvolta inconsapevole, tra sé e gli altri che porta colleghi e superiori a “scartarli“ nel momento della suddivisione di compiti e incarichi. Ciò innesca un circolo vizioso, in cui la prolungata inattività acuisce il senso di chiusura emotiva, che a sua volta alimenta la demotivazione».

Perché il lavoro annoia

Potresti credere che il motivo per cui il tuo attuale lavoro ti annoia a morte è che non è il lavoro giusto per te. In alcuni (in realtà frequenti) casi non è questo il problema: non è che stai facendo un lavoro sbagliato per te in assoluto. Molto più probabilmente stai facendo il lavoro giusto ma nel contesto sbagliato.

La ricerca effettuata nelle aziende ha mostrato che non sono né la monotonia né la routine a portare alla noia, bensì un livello di requisiti sbagliato o la mancanza di riconoscimento. 

Lavorare è noioso: la teoria di Endrissat

Nada Endrissat, docente alla Scuola universitaria professionale di Berna, ha realizzato diversi studi sul tema da cui ha concluso che ci sono diverse possibili cause di un lavoro che annoia prima di poter dire che stai facendo proprio la professione sbagliata.

  1. Sei sottoimpiegato in termini di competenze: nel tuo lavoro  non puoi mostrare quello che sai fare, hai un impiego di basso profilo, inferiore alle tue qualifiche e competenze, di scarso interesse e magari ripetitivo.
  2. Sei mal-impiegato in termini di competenze: sei in un contesto in cui non hai pieno controllo sui processi in cui operi per cui non riesci a raggiungere gli obiettivi che ti prefiggi. Oppure al contrario non hai nessuna possibilità nemmeno di avere sfide professionali e quindi questo ti manca. Oppure hai la percezione di non poter evolvere la tua carriera in quel contesto e ti senti con le ali tarpate.  
  3. Sei sotto impiegato in termini di di senso e importanza di quello che si sta facendo: hai la percezione di fare cose che non hanno un senso o un valore più grande.

Sempre più lavoratori desiderano dei compiti che hanno un senso. “Se non ce l’hanno si può far strada la noia, che può portare a un Boreout”, spiega Endrissat.

Tant’è che nella maggior parte dei casi il problema del Boreout riguarda professionisti molto qualificati o comunque persone che durante la formazione oppure in precedenti esperienze lavorative erano abituati ad affrontare problemi per la cui soluzione era necessaria molta iniziativa personale, applicazione e conoscenze.

Se queste persone si trovano poi, in ambito lavorativo, ad affrontare compiti monotoni e standardizzati, con pochissimo spazio di manovra, spiega Endrissat, fanno tilt.

«Il gap tra le mansioni svolte e quelle desiderate, il mancato riconoscimento delle proprie abilità, l’assenza di gratificazioni economiche.» Spiega il prof. Sarno ordinario di psicologia clinica e psicoterapia alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Insoddisfazione, demotivazione, senso di frustrazione generano un allontanamento progressivo, sia emotivo sia cognitivo e pratico, rispetto allo svolgimento della propria attività. Tale distacco alimenta un circolo vizioso che genera una crescita del malessere che altera lo stato emotivo in modo più profondo e diffuso. Così la noia diventa tristezza, o peggio depressione, che si espande a macchia d’olio. Fino a minacciare, se non a occupare, aree estese della vita, anche personale, sociale, familiare, di coppia e sessuale».

Noia a lavoro: la conferma viene dalla scienza

Daniel M. Cable, neuroscienziato, ha scritto un interessantissimo libro sulle sue ricerche che finalmente spiegano molto chiaramente il perché ci annoiamo a lavoro. Il libro si chiama Alive at Work: The Neuroscience of Helping Your People Love What they Do.

La causa del problema è piuttosto drastica: l’uomo non è biologicamente fatto per l’organizzazione del lavoro moderno.

Il nostro stesso cervello la rifiuta. Se hai letto il mio libro Un Lavoro che Vale ricorderai il capitolo in cui parlo del fenomeno del Turco Meccanico. Si tratta esattamente di quello.

“L’organizzazione delle aziende ha annichilito nei lavoratori quella parte del cervello umano che è chiamato “sistema di ricompensa””, ovvero quella parte dei neuroni nel nostro cervello che sono attivati dai nuovi incentivi, dal piacere delle nuove scoperte e della ricompensa che ne segue. 

Questa struttura (seeking system, in inglese) è quella che ci ha fornito dell’impulso naturale a esplorare il mondo, conoscere elementi nuovi dal mondo circostante, imparare il senso delle cose dalle circostanze nuove incontrate nel nostro percorso. Quando seguiamo le istanze di questa parte del nostro cervello, che è quella che si dovrebbe attivare quando lavoriamo in maniera creativa, viene rilasciata dopamina, un neurotrasmettitore che ci dà la sensazione di piacere, e ci invoglia a fare di più, esplorare di più, ‘lavorare’ con più voglia. 

Ma il problema è che l’organizzazione del lavoro moderno non è disegnata allo stesso modo, non è fatta per ottenere il massimo da questo sistema di ricerca e ricompensa che è connaturata alle persone. A seguito della Rivoluzione industriale – quando è stato architettata l’organizzazione del lavoro moderno – l’organizzazione aziendale è stata fatta apposta per soffocare i nostri impulsi naturali ad imparare cose nuove e ad esplorare nuovi orizzonti”.

La ripetizione di azioni meccaniche, l’eseguire semplicemente degli ordini, è contro natura. E non serve per forza essere in catena di montaggio, ma anche dietro una scrivania. 

L’alienazione è la vera causa della noia al lavoro

“La burocrazia, gli organigrammi aziendali, le strutture di controllo sono stati pensati agli albori dell’epoca moderna (1800) per gestire, ‘controllare’ le persone e la loro produzione di beni (o servizi)”, dice Cable. “Alle grandi aziende servivano braccia per eseguire compiti precisi. Questo ha permesso di aumentare la produzione, ma ha chiuso la creatività che ognuno ha in gabbie troppo strette” . 

Troppo lavoro noioso ancora in giro dopo 200 anni

Purtroppo ancora oggi questa organizzazione del lavoro è la stessa in molte aziende, anche nelle aziende non produttive. In troppi sistemi aziendali la struttura è rimasta la stessa: chi dirige i lavori si attiene a metriche standard di produzione, chi esegue deve limitarsi ad eseguire dei compiti e soddisfare delle richieste.

E chi lavora in queste condizion “diventa cauto, soffoca le proprie inclinazioni al nuovo, alla sperimentazione di nuove forme di espressione di sé attraverso il lavoro”.

Un altro neuroscenziato, Jaak Panksepp, in un’intervista che ha rilasciato all’Huffington Post, sostiene che queste condizioni di autodifesa sono quelle più prossime alla depressione, e dipendono dalla carenza di stimoli. 

Annoiato a morte dal lavoro: come uscirne

Il popolo dei lavoratori schiacciati dalla noia è più diffuso di quanto si pensi, ma spesso il disturbo fatica a venire alla luce. Se essere stressati per eccesso di lavoro è socialmente accettabile e persino visto come una sorta di merito, un segno di efficienza e produttività, riconoscere di essere sottoutilizzati è motivo di vergogna per la paura di essere additati come pigri, svogliati o inetti.

La prima cosa da fare è prendere il toro per le corna.

Facile a dirsi, molto meno a farsi.

“La noia è un tema estremamente tabù. Lo si vede già nelle terapie di gruppo: per raccontare che ci si annoia durante il lavoro serve coraggio, perché l’interessato si espone a lazzi e frecciatine”, sostiene Andi Zemp, psicologo capo della clinica privata Wyss di Münchenbuchsee

Dice Luciana D’Ambrosio Marri, sociologa del lavoro, «Spesso sono i lavoratori stessi i primi a non riconoscere il problema. Non capiscono perché sono così stanchi una volta tornati e a casa e attribuiscono la propria insoddisfazione a conflitti di coppia o a problemi che non hanno niente a che vedere con il lavoro. È difficile capire che il prolungato stand by può invece essere responsabile di un vero malessere».

Uscirne non è facile, ma è possibile. Parlare è il primo passo.

Confrontarti con qualcuno che può ascoltare la tua situazione in modo neutro ma avendo cognizione di causa: meglio evitare mogli, mariti, genitori, amici d’infanzia. Con ogni probabilità riceveresti i soliti “buoni” consigli che poi così tanto buoni non sono.

Molto meglio rivolgerti ad un Career Coach professionista che ti aiuti a fare chiarezza in quella che, tecnicamente noi coach chiamiamo “Crisi di Autogoverno”. Una situazione cioè in cui, sei resti da solo, continuerai a girare in tondo come un cane che si morde la coda.

Vincere la noia al lavoro: una sfida per le aziende

C’è un modo per cambiare le cose e lo  sa anche Cable che ha chiamato il suo libro con un titolo tutto sommato positivo “Vivi sul lavoro”.

Il motivo è che, come tutti ben sappiamo, le aziende stanno affrontando il più alto grado di cambiamento della storia moderna.

Competizione globale, crisi dei mercati, le sfide dell’ambiente, l’avvento della prima pandemia a livello mondiale stanno cambiando sempre di più gli scenari economici e sociali.

Oggi le aziende non possono più limitarsi a produrre beni su scenari previsionali, dando per scontato che venderà. Oggi è indispensabile produrre prodotti o esperienze che le persone davvero vogliono, contando che queste esigenze cambiano in continuazione.

Cable ancora una volta conferma quanto vado dicendo da anni nei miei libri: servono LavorArtisti, non esecutori robotizzati senz’anima.

“Più che mai oggi le aziende hanno bisogno di persone che siano in grado di innovare. Che sappiano essere dentro le cose che i clienti vogliono davvero. Le aziende hanno bisogno di tutto l’entusiasmo e la creatività dei propri dipendenti se vogliono sopravvivere, adattarsi ai cambiamenti e crescere” dice Cable.

Cambiare Lavoro noioso: quando è il momento di non aspettare oltre

In alcuni casi ci sono aziende, le tipiche aziende dinosauro, in cui per quanto impegno tu possa metterci, la situazione non si può aggiustare.

Sono le realtà in cui il cambiamento è visto come il demonio, in cui ogni nuova proposta innovativa viene subito messa alla porta.

Come nei rapporti di coppia, una volta che in piena onestà sai di aver fatto tutto il possibile per salvare il salvabile, l’unica cosa che resta da fare è pianificare la conclusione del rapporto.

Attenzione, ho detto pianificare non rompere malamente.

I motivi sono parecchi ma il principale è che se rompi malamente quasi certamente non avrai un piano B pronto ad accoglierti. E i dolori che ti aspettano se non hai un piano B sono molto maggiori di quelli che stai passando ora.

Prima di decidere di scrivere la famosa lettera di dimissioni però chiediti: puoi dire con assoluta certezza di aver fatto tutto quello che potevi per portare un vento di novità e miglioramento in azienda?

Ti sei fatto portatore di progetti o stimoli innovativi? Hai proposto di avere una consulenza esterna di lean transformation? (se non sai che cos’è e perché è così importante, allora visita assolutamente la pagina Lean Innovation)

Come sopportare un lavoro noioso

A volte non puoi proprio cambiare e per un certo tempo sei bloccato dalle circostanze. Magari stai facendo colloqui o cercando altre posizioni ma non stai trovando nulla. Magari vivi in un luogo in cui hai poca scelta e non ti puoi trasferire, almeno per il momento.

In questi casi possono essere tre consigli per attraversare il guado meglio.

  • Rendi più piacevole l’ambiente in cui lavori

Potrebbe non sembrare così ovvio, ma fai molte riflessioni quando sei seduto davanti alla tua scrivania. Avere uno spazio di colore neutro come il beige, il bianco o il grigio, con poco colore, offusca la tua mente e la tua capacità di ragionare, bloccandoti in soli 5 minuti rendendoti poco produttivo. Semplici modifiche al tuo spazio lavorativo (scrivania o ufficio), come l’aggiunta di immagini alle pareti, nuove luci da scrivania e d’ambiente e persino l’inserimento di piante possono aiutare a ravvivare la tua area di lavoro.

  • Se sei un “Achiever” creati delle sfide extra

Se sei una di quelle persone che hanno bisogno di sfide, cercati delle sfide extra. Non pensare a cose di chissà quali complicatezza. Una segretaria (che chiamiamo Lisa) per parecchi giorni al mese doveva fare un lavoro stupido, noioso e ripetitivo: riempire delle tabelle con una sfilza di cifre e di statistiche. Era un lavoro noiosissimo, ma aveva deciso di farselo piacere. Si inventa quindi di fare ogni giorno una gara con se stessa. Contava il numero delle tabelle che riempiva ogni mattina e cercava di superare quel numero nel pomeriggio. Contava il totale della giornata e cercava di superarlo il giorno dopo. In breve era diventata l’impiegata più brava e veloce del suo reparto. Non è una storia con un lieto fine scoppiettante perché non ha ottenuto riconoscimenti, ringraziamenti o promozioni speciali. Ma si era evitata la stanchezza alimentata dalla noia creandosi uno stimolo intellettuale. Un altro modo per crearti sfide extra è decidere di aggiungere nuove competenze, seguire corsi di formazione, imparare cose nuove. Sfrutta la possibilità di imparare qualcosa che ti aiuterà in futuro ad essere più produttivo, questo ti aiuterà a rendere meno noiose le tue giornate lavorative.

  • Annaffia ogni giorno la tua pianta della creatività 

Il senso di una vita che abbia senso è fortemente collegato alla possibilità di esprimere la tua creatività. Se non puoi farlo sul lavoro, fallo nel tempo libero. Dipingi, scrivi, colora, crea, danza, qualunque cosa sia fai in modo che la tua creatività non avizzisca come una pianta.

E poi però chiediti: come posso portare questa creatività anche nel mio lavoro di ogni giorno? All’inizio potrebbe sembrarti impossibile ma se continuerai a chiedertelo vedrai apparire idee inaspettate che potrebbero rivoluzionare anche la tua vita.

Training Elite

7 commenti su “Lavoro noioso: perché fa male e come liberartene”

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  4. CRISTINA BRECCIA

    Salve sono una tardona e grande esperta di boreout. In tutti i lavori da ufficio per ansia da performance e mancanza di sicurezza mi sono autoisolata ricercando attivita poco impegnative. Questo ha permesso di evitare lo stress e di dedicare tanto tempo alla vita sana sport. Non sono comunque riuscita in questo lunghissimo tempo libero ad individuare una attivita remunerativa adatta a me e al mio “problema”. Pensate di avere qualche strumento veramente efficace? Ikigai ho provato ma non riesco a mettere nulla nella sezione che so fare bene

  5. Azienda dinosauro!
    Piano piano sempre meno e il mio dato ad altri.
    Non posso licenziarmi ma 8 ore sono veramente dure.
    Faccio molte cose fuori ma le 8 ore sono sempre un macigno. Silenzio, capi che non ti danno compiti e non ti chiedono come precede e se prendi iniziativa, Dio ce ne scampi.

  6. Io mi trovo proprio in questa situazione sul lavoro,la noia che assale,lo stare zitti tutto il giorno e anche i “colleghi”idem..le giornate ormai sono un incubo!!

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Erica Zuanon

Erica Zuanon

Ex frustrato Ingegnere-ma-volevo-fare-altro, oggi realizzata Content Strategist, Career Coach & Innovation Trainer, guido Aziende e Lavoratori ad affrontare con successo e autorealizzazione le sfide del cambiamento lavorativo nel mondo 4.0 attraverso il metodo proprietario CREEA®. Autrice di Missione Lavoro e Un Lavoro che Vale, ho ideato il progetto Azione IKIGAI per sostenere chi è alla ricerca del proprio perché professionale ma non sa come fare. 

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