-Voglio trovare un lavoro che vale, non posso continuare a fare un lavoro solo perché il mondo pensa sia un buon lavoro. Ma non so che lavoro fare d’altro, sono capace di fare tante cose ma niente di particolare, non ho nessun grande talento né nessuna particolare vocazione. E poi il pensiero di cambiare lavoro al giorno d’oggi è quasi da pazzi, non trovi?
-Sì, capisco, ma sei di nuovo piena di dolori e lo sai che lo stress da lavoro centra tantissimo.
-Ma va mica posso essere davvero stressata, faccio un lavoro talmente noioso… È che mi mette ansia anche solo il pensiero di alzarmi la mattina. Poi mi dico che sono un’egoista, di questi tempi poi… Almeno io un lavoro ce l’ho…
…
Ascolto con tristezza questa conversazione tra due donne in coda davanti alla farmacia.
Sono sempre stata convinta che buttare via più di un terzo della vita facendo qualcosa che non ci esprime e non ci realizza fosse un vero e proprio delitto, ancora più che un dispiacere personale. Eppure sembra impossibile non cedere nel pensiero del “c’è la crisi, ringrazia se hai un posto di lavoro, non ti lamentare e tira a campare”.
Permettersi di pensare che è giusto e sano voler trovare un lavoro che vale, non semplicemente un posto per pagare le bollette sembrava già un lusso a tanti.
Ma dacché il COVID-19 ha fatto la sua prepotente entrata nelle nostre vite, la faccenda è diventata ancora più complessa.
Interi settori lavorativi distrutti, migliaia e migliaia di posti di lavoro persi, famiglie in difficoltà, una tensione psicologica senza precedenti, tutto ciò non può lasciare indifferenti e soprattutto – ammesso che ne fosse rimasto anche solo poco – dà la mazzata definitiva ad ogni possibile pensiero coraggioso tipo voglio trovare un lavoro che vale il mio tempo e la mia vita.
Per non parlare poi del mondo femminile in cui il ‘voglio trovare un lavoro che mi permetta (almeno) di vedere mio figlio e vederlo crescere’ si è trasformato in ‘meglio se resto a casa a fare la mamma che tanto di alternative non ce ne sono’.
Tant’è che, secondo dati ISTAT, su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne. Ben il 98%.
Le donne, che si caratterizzano per più bassa occupazione, salari più scarsi, contratti più precari e sono più raramente occupate nelle posizioni aziendali apicali e dunque “sicure”, oggi sono le prime a subire gli effetti della crisi. E anche quando tutto sembra andare bene, la realtà è spesso un’altra. Intrappolate nella costruzione sociale per cui il carico della cura e della famiglia deve gravare sulle loro spalle, le donne italiane hanno visto in questo 2020 aumentare il loro lavoro, con lo smart working che si è sovrapposto agli impieghi domestici senza più la possibilità di una separazione spaziale degli stessi.
Fonte Wired
Voglio trovare un lavoro che vale ma non so neanche da dove cominciare
Non solo disoccupazione ma anche sottoccupazione e insoddisfazione lavorativa portano società, amici, genitori a ricordarti severamente è che è “Inutile sognare, bisogna avere i piedi per terra, essere concreti perché con i sogni non si mangia. Perciò se hai un lavoro che ti dà da campare non lamentarti e riga dritto”.
Un’idea che però, ti confesso, mi faceva venire i brividi fin da piccola. Mi rifiutavo categoricamente di pensare che la mia vita dovesse essere solo un lungo elenco di doveri per guadagnarmi da vivere per poi, forse, arrivare vecchia e rincoglionita all’età della pensione, piena di acciacchi e dolori a “godermi finalmente la vita”.
In giro sembravano però tutti convinti che le cose dovessero per forza andare così, perciò avevo finito per credere che il mio problema fosse solo un effetto collaterale di quel grave errore di gioventù che avevo commesso scegliendo l’università sbagliata.
All’inizio perciò la mia era stata solo una lunga lotta solitaria. Anche se notavo che c’erano sempre tante persone professionalmente insoddisfatte nei corsi di formazione personale che frequentavo, credevo che la cosa fosse solo un’ovvia conseguenza della nostra comune scelta: avevamo pescato la carta professionale sbagliata perciò giravamo quasi ossessivamente, insoddisfatti e rabbiosi, alla ricerca di un nuovo percorso che in fondo non credevamo potesse esistere davvero anche per noi.
Dopo l’arrivo della crisi però, il numero di persone professionalmente insoddisfatte che mi capitava di incontrare sembrò avere un’impennata pazzesca.
La crisi ovviamente non aveva risparmiato nemmeno me ma, mentre cercavo di reagire – spesso anche piuttosto scompostamente e all’oscuro di una quantità di dati che mai mi sarei aspettata nemmeno esistessero –, dopo parecchi sofferti tentativi ero riuscita a trovare una quadra al problema e potevo dirmi finalmente soddisfatta professionalmente e personalmente.
Anzi, nonostante la crisi, ero persino riuscita a conquistare quello che per le mie esigenze era senza dubbio il “lavoro ottimale”.
Non altrettanto invece sembrava succedere nel mondo attorno a me: molti dei miei conoscenti, amici e “compagni di sventura” di un tempo, sempre più spesso, finivano per venire a chiedermi consiglio.
Così, più passava il tempo senza che di questa crisi se ne vedesse – né del resto se ne veda tuttora – la fine, più mi accorgevo di quanto la soluzione che nel frattempo ero riuscita a trovare per me stessa fosse in realtà anche la soluzione mancante per un problema, quello dell’insoddisfazione professionale, troppo spesso sottovalutato dalle persone e del tutto trascurato nel panorama formativo attuale.
“Sì, non guadagno molto, però almeno faccio qualcosa che mi piace abbastanza, solo che da qualche mese ci hanno messo in cassa integrazione alternata… Cosa dovrei fare? Riprendere in mano il Curriculum e poi?”
“Io vorrei fare tutt’altro nella mia vita, mi sono accorto troppo tardi di aver scelto il percorso di studi sbagliato, non era quello che volevo davvero, però ormai, come faccio? Non ho il titolo/risorse/possibilità per fare quello che vorrei davvero… cosa potrei fare? È troppo tardi ormai, vero?”
Dopo l’apparire della crisi, passata l’emergenza mia personale, ho cominciato a mettere a fuoco sempre meglio la questione: se una volta chi voleva un lavoro diverso, più remunerativo, più soddisfacente, era poco più che un caso raro, dopo il 2009 l’esercito dei lavoratori insoddisfatti (o appiedati dalla crisi e incapaci di riconquistare un nuovo e soddisfacente posto nel mondo del lavoro) non poteva che finire per diventare la nuova “normalità” ed era destinato a crescere inesorabilmente.
Mi ci è voluto altro tempo – e parecchi studi approfonditi – per arrivare invece a capire che non si sarebbe trattata di una situazione temporanea oltre al fatto che gli strumenti tradizionali con cui viene affrontata la questione della ricerca del lavoro sono assolutamente inefficaci.
(12 anni dopo e una pandemia di mezzo, la situazione è – difficile allora pensare che fosse possibile – ulteriormente peggiorata. )
Quello che ancora oggi ti dicono di fare se hai problemi con il lavoro (purtroppo) rientra sostanzialmente in una di queste due possibilità:
- Se hai un lavoro ti dicono di portare pazienza che tanto c’è la crisi, va già bene che un lavoro tu ce l’abbia.
- Se un lavoro non ce l’hai ti dicono di mandare Curriculum in giro più che puoi e poi sederti ad aspettare.
Due idee efficaci quanto cercare di scaldarsi con un ghiacciolo.
Eppure si tratta di convinzioni così radicate nel nostro sistema da essere diventate per molti la normalità. Con il risultato che le persone si rinchiudono in un immobilismo spaventato, accettando cose che un tempo non avrebbero mai accettato.
L’unico modo per disporre di una soluzione reale alle problematiche del nuovo mondo del lavoro sta, per forza di cose, in una rivisitazione completa delle informazioni di cui disponiamo, in una sintesi innovativa e operativamente concreta.
Per uscire dai guai servono diversi ingredienti nuovi, alcuni fondamentali cambiamenti di paradigma e molta chiarezza, c’è bisogno di una Riqualificazione Professionale Efficace, non semplicemente di metodi estemporanei per la ricerca del lavoro o l’orientamento professionale.
Per questo, per la prima volta in vita mia, dopo anni passati a maledire la mia laurea, sono arrivata ad essere felice di essere un ingegnere: la pedante quadratura con cui vengono forgiati i cervelli umani ad ingegneria, la precisone ai limiti dell’ossessione con cui ci obbligano a guardare le cose alla ricerca del metodo unificante, alla ricerca della sostanza al posto della forma, sono un valore aggiunto raro che oggi posso portare sul mercato della formazione.
Lavorare nell’ambito della formazione è stato per anni uno dei “sogni nel cassetto”. Un sogno che, esattamente grazie alle informazioni che ora sto per condividerti, ho corteggiato intensamente, avvicinandomi al settore in tutti i modi di supporto possibili: come marketer, creatrice di contenuti, come tecnico di blog, dietro le quinte dei social media di diversi formatori e aziende di formazione. Questo perché non volevo mettermi un fiocco rosso in testa, darmi una impiastricciata di trucco e uscire in piazza anch’io con una delle tante minestre riscaldate e quindi, per anni, ho cercato qualcosa di realmente nuovo con cui dare il mio contributo. Ma è stato solo quando ho scoperto i principi che ho poi combinato insieme in quello che ho chiamato “SISTEMA DI GESTIONE di CARRIERA CREEA®”, che finalmente mi sono sentita di poter dire la mia.
Il motore di questo Sistema è potente e innovativo. Niente di quello che puoi avere sentito finora in giro, perché è un motore che viene da un altro pianeta rispetto a quello umanistico/psicologico e della formazione di crescita personale.
Il motore alla base del Sistema che sto per presentarti è infatti quello ingegneristico, quello che ho maledetto per anni ma che, essendo il codice del sistema industriale che ci ha portati ad essere nella condizione di difficoltà in cui siamo, è l’unico in grado di sovvertire davvero le regole del gioco per i lavoratori, l’unico in grado di riportare un po’ di uguaglianza nella competizione professionale.
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3 commenti su “Voglio trovare un lavoro che vale il mio tempo e la mia vita”
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